Mi fa sorridere la reazione alle parole del papa sulle unioni civili da parte di settori purtroppo ancora molto ampi del mondo cattolico italiano, cresciuti a “questione antropologica” e “valori non negoziabili”. Il dibattito si divide tra coloro che affermano che il papa è eretico, e coloro che cercando di difenderlo, ma lo fanno smentendo o minimizzando le sue dichiarazioni (“ha sbagliato” – “non ha sbagliato perché non ha detto veramente così o non voleva dirlo”).
Mi fa sorridere, ma è evidentemente un problema enorme, per lo Stato, ma anche per la chiesa. Ora io non volevo intervenire, perché la questione tocca tante sensibilità, e anche la mia, e quindi mi amareggia da diversi punti di vista; ma sembra inevitabile dover ribadire un paio di cose che sono di banale buon senso, perché esiste un vero e proprio blocco di potere – ideologico e istituzionale insieme – da scardinare:
1) nella società attuale, una legge sulle unioni civili è il minimo, ma davvero il minimo sindacale che semplicemente separa da una teocrazia.
2) La sofferenza e la discriminazione delle persone della comunità LGBT è stata determinata da una cultura di cui la chiesa è per larga misura corresponsabile.
3) Questa ferita non inizierà a risanarsi finché non cambierà la dottrina, per cui gli atti sessuali e dunque il matrimonio come sacramento tra persone dello stesso sesso non sarà finalmente ammesso.
4) Esiste una teologia queer, che è spaventosamente interessante, proprio come scompaginazione dei meccanismi intellettualmente e praticamente violenti che regolano la società, anche nella sfera sessuale.
5) Non capisco in che modo le Scritture si possano leggere e comprendere, se non come una affermazione di amore incondizionato alla persona nella sua singolarità, e quindi come scardinamento e ribaltamento dei principati e delle potestà del mondo che ingabbiano e opprimono la persona e i viventi: un enorme sì alla vita in tutte le sue manifestazioni.
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