Fuori luogo, dentro il tempo. Due idee di chiesa

Nell’emergenza COVID19, la cosiddetta “fase 2”, ad oggi (30 aprile 2020), di fatto non esiste. Il governo pare schiacciato tra le precauzioni dei medici e l’insofferenza delle persone. Manca un progetto, ci sono incongruenze e diversi sono i motivi di disagio. Molte sono peraltro le difficoltà oggettive, e anche all’estero si registrano polemiche simili. In questo scenario, il comunicato di protesta della CEI appare del tutto fuori luogo. Fuori luogo mi sembra “esigere”, in questa fase. Fuori luogo sembra ritenere minacciata la “libertà di culto”.

Libertà di culto significa libertà di professare una fede, che certo si esplica anche nella cosiddetta “pratica” religiosa e quindi nella celebrazione comunitaria. Ma nel momento in cui restano sospese la piena libertà di movimento e la piena libertà di riunione (ovvie precondizioni della celebrazione) come si può “esigere” il rito? Oltre che dell’insofferenza che ciascuno vive in questo momento, e dello scandalo per episodi talmente eccessivi da risultare ridicoli (come quelli della Messa interrotta a Soncino), il comunicato della CEI sembra espressione di una rivendicazione di importanza nella società: “non valiamo meno delle attività produttive!”

Sembra dunque una protesta di “categoria” che mira ad ottenere più spazio. Accompagnata dal rinfacciare il proprio ruolo (“l’impegno al servizio verso i poveri, così significativo in questa emergenza, nasce da una fede che deve potersi nutrire alle sue sorgenti”). Ma la chiesa è semplicemente un settore della società? Non è piuttosto, e molto di più, un canale (in Italia, di fatto, quantitativamente il maggiore) di espressione di una istanza profonda e diffusa, il sentimento religioso? Non può e non deve volare più alto?

Al contrario, le parole del Papa, che richiamano alla “prudenza” e all’ “obbedienza” esprimono una idea diversa di chiesa. L’idea di una comunità che rinuncia momentaneamente all’esigenza della visibilità, per stare dentro al tempo. L’idea di un atteggiamento, di uno stile, di un “come”; piuttosto che di azioni, persone e “cose” effettivamente individuali, definibili, categorizzabili. Non si tratta di primato della chiesa o dello Stato, né appunto di importanza dell’organo “chiesa” nel corpo complesso e articolato della società. Si tratta di ruoli diversi e della necessità di abitare la propria epoca, coglierne i segni e contribuire ad orientarla. Ritorna la differenza tra due idee di chiesa che il Papa tempo fa aveva distinto: “avviare processi, non occupare spazi”. Il Regno dei cieli non è come la pasta o la pizza, ma come il lievito.

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